La fine della cultura by Eric J. Hobsbawm

La fine della cultura by Eric J. Hobsbawm

autore:Eric J. Hobsbawm
La lingua: ita
Format: mobi, epub
Tags: archivio ladri di biblioteche
editore: Rizzoli
pubblicato: 2014-03-14T23:00:00+00:00


Parte III

Incertezze, scienza, religione

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Preoccuparsi del futuro

Pubblicato per la prima volta con il titolo C (for Crisis) nella «London Review of Books», vol. 31, n. 15, 6 agosto 2009, come recensione a Richard Overy, The Morbid Age: Britain Between the Wars, Allen Lane, London 2009.

C’è una sostanziale differenza tra le classiche questioni dello studioso sul passato («Cosa è accaduto nella storia, quando e perché?») e la domanda che, negli ultimi quarant’anni o poco più, ha finito per ispirare una mole crescente di ricerche storiche, e cioè: «Che cosa ne pensa o ne pensava la gente?». Le prime società di storia orale sono nate nei tardi anni Sessanta. Da allora, il numero di opere e istituzioni dedicate all’«eredità» e alla memoria storica – in particolar modo sulle grandi guerre del XX secolo – è aumentato in maniera vertiginosa. Lo studio della memoria storica fondamentalmente non riguarda il passato, ma lo sguardo retrospettivo su di esso da parte di un presente successivo. The Morbid Age (L’età morbosa) di Richard Overy utilizza un altro approccio, meno diretto, al tessuto emotivo del passato: la difficile opera di scavo delle reazioni popolari contemporanee a ciò che stava accadendo nelle vite delle persone e attorno a esse – si potrebbe definire la mood music della storia.

Benché questo tipo di ricerca sia affascinante, soprattutto se svolto con la curiosità e l’erudizione ancora capace di sorprendersi di Richard Overy, essa pone lo storico di fronte a notevoli problemi. Che cosa vuol dire descrivere un sentimento caratteristico di una nazione o di un’epoca, e qual è il significato di un sentimento socialmente diffuso, per giunta chiaramente collegato ad avvenimenti storici di carattere drammatico? In che modo e fino a che punto possiamo misurarne tale larga diffusione? I sondaggi d’opinione, l’attuale strumento che consente di compiere tali valutazioni, non erano disponibili prima del 1938. In ogni caso, simili sentimenti – l’avversione ampiamente diffusa in Occidente nei confronti degli ebrei, per esempio – non erano ovviamente nutriti o messi in pratica allo stesso modo da, diciamo, Adolf Hitler e Virginia Woolf.

I sentimenti nella storia non sono né stabili nel tempo né socialmente omogenei, anche in momenti in cui sono sperimentati da tutti alla stessa maniera, come nella Londra sottoposta ai raid aerei tedeschi, e ancor meno lo sono le loro rappresentazioni intellettuali. Come possono essere confrontati o contrastati? In breve, che cosa se ne fanno gli storici di questo nuovo campo di ricerca?

Lo specifico stato d’animo indagato da Overy è un senso di crisi e paura, «un presentimento di un disastro incombente», la prospettiva della fine della civiltà che, secondo l’autore, caratterizzava la Gran Bretagna tra le due guerre. Non vi è nulla di specificamente inglese o novecentesco in un simile stato d’animo. Anzi, nell’ultimo millennio sarebbe difficile indicare un periodo, almeno nel mondo cristiano, in cui questo sentimento non abbia trovato un’espressione significativa, spesso nell’idioma apocalittico creato allo scopo ed esplorato nelle opere di Norman Cohn. (Aldous Huxley, citato da Overy, vede nella storia moderna «la mano guida di Belial».) Ci



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